Una piacevole chiacchierata sul mondo dell’informazione e sulla situazione politica e sociale odierna
TORINO – E’ una giornata atipicamente calda e soleggiata. L’appuntamento è in uno dei quartieri più rinomati e ricchi della città, quello della Crocetta. E’ particolare passeggiarvi nel bel mezzo della mattinata: per strada si possono ancora incontrare i torinesi autentici, tra i pochi ancora a parlare il dialetto nelle loeo conversazioni quotidiane.
Penso in effetti che è la prima volta nella mia vita che ho l’opportunità di passeggiare in lungo e in largo in questo quartiere tanto declamato. Ne assaporo l’istante.
Davanti ad uno dei bar storici del circondario, mi incontro con Roberto Franchini. Osservando il suo volto, quel che traspare dal primo momento in cui lo si conosce è saggezza e pienezza di pensiero. Impressioni che hanno trovato conferma anche alla fine della nostra chiacchierata.
Entrando nel locale si nota come sia un abitudinario del bar, rispettato e ben voluto dallo staff. Ci sediamo attorno ad un tavolo. Ordino un caffè: per la prima volta nella mia vita lo prenderò senza zucchero, decisione presa così sul momento. Lui invece preferisce un caffè d’orzo.
Iniziamo una lunga e piacevole conversazione. Lui arrivò in Torino alla fine degli anni sessanta, partendo da Verona. Si occupò prima della pagina degli esteri de La Stampa e poi si dedicò al progetto delle redazioni autonome del Piemonte, della Liguria e della Val d’Aosta avviando così le redazioni locali, in modo da dare più spazio alle questioni ed alle criticità dei singoli territori. Tutto questo percorso ebbe ottimi risultati fino a qualche tempo fa, poi la crisi congiunturale e la nascita di nuove modi di comunicare misero in difficoltà l’intero settore della carta stampata.
Così, secondo Roberto, il mondo dell’informazione dovrà necessariamente cambiare.L’informazione scritta per natura si rivolgerà a chi vuole andare oltre la notizia immediata, a chi vuole avere un quadro più complessivo delle questioni. Non una sommatoria di lampi, ma a fine lampeggiamento, per chi vuole approfondire gli avvenimenti.
La fisiologia dell’informazione si sta trasformando in patologia dell’informazione, soprattutto sull’etere.
La fisiologia dell’informazione è il dare continuamente notizie per essere informato, sulla vita del quartiere, del paese o della regione. Nel tentativo di inseguire la notizia sempre più nuova e accattivante si rischia che questa suggestione possa alterare la percezione del comunicatore al lettore/fruitore, divenendo così patologia dell’informazione.
Tutto questo fiume di fatti e misfatti è, tuttavia, anche un utile aiuto a conoscere più aspetti che le fonti ufficiali tendono a selezionare. Le fonti istituzionali hanno creato un ufficio stampa che filtra la selezione delle notizie. Così i Carabinieri sono restii a dare informazioni; è in effetti una caratteristica dell’arma: più istituzionali per natura e origine. La Polizia è invece più disinvolta. V’è, dunque, un ping pong quotidiano con le fonti.
Tale mancanza può essere compensata dalle persone che in giro osservano e documentano i fatti. I giornali così devono attrezzarsi per raccogliere queste voci del cittadino, che non è sempre così preparato e dentro la situazione: si fa emozionare e suggestionare senza, a volte, rimanere lucido. Viceversa un cronista è esperto ed in grado di regolarsi. I cittadini informatori hanno dato in certi casi contributi interessanti. Tale contributo volontario dà un valore aggiunto all’informazione, con tutti i limiti della sua parzialità.
Assaggio il caffè senza zucchero, non è così male come immaginavo.
Chiedo a Roberto quale pensa possa essere il futuro dell’informazione. Data la velocità di cambiamento e trasformazione, per lui è difficile poter farne una previsione. Vi sono fenomeni che appaiono interessanti e che cambiano nel tempo. Per esempio, Twitter ha avuto una flessione in borsa perché, pur essendo di facile utilizzo e con l’utilizzo di poche parole si può esprimere un pensiero, non dà la possibilità di prendere una vera e propria posizione in merito alla questione commentata. I politici, molto volentieri, lo utilizzano per cavarsela con una semplice battuta anziché andare a fondo della questione. Ha avuto un calo in quanto si è notato come sia un mezzo troppo limitato e circoscritto. In questo modo, si rischia di andare più nell’intrattenimento che nell’informazione.
Apriamo una tematica attuale, complessa e intricata. Il rapporto tra l’informazione e i fenomeni terroristici contemporanei.
Per Roberto è un questione che è soggetta ad una super ideologia, e cioè il volgere la versione dei fatti in base alle proprie reazioni soggettive, emotive o pregiudiziali. E’ facile dare delle interpretazioni in base alla nostra cultura, in base alla nostra sensibilità, alla nostra volontà di capire. Non tutti gli immigrati sono potenziali o reali terroristi. Non c’è solo l’odio islamico nei confronti dell’occidente, ma esiste un odio altrettanto cruento, anzi forse maggiore, all’interno del mondo musulmano. Il numero di vittime musulmane che non aderiscono alle campagne di reclutamento sono maggiori delle vittime europee. I musulmani che non aderiscono fanno fatica a mostrare la loro non adesione alle campagne terroristiche perché se non aderiscono, vengono eliminati. Questo per dire che ogni parte del problema richiede conoscenze che finora non ci siamo preoccupati di avere e possedere. E’ qui che può nascere l’emozione o la deformazione sub-ideologica. Perché conoscere meglio e più richiede fatica e disposizione ad aprirsi a realtà diverse che fino a ieri abbiamo conosciuto troppo poco.
Gli chiedo se ha un idea su quel che potrebbe essere il futuro immediato sulla questione. Per Roberto l’unica carta da giocare è che si stabilisca una doppia possibilità. Da un lato di unità di visioni e di interventi fra tutti i paesi che non vogliono subire il terrorismo, a cominciare da un collegamento organico, ad oggi insufficiente, per quanto riguarda il lavoro di conoscenza e di scambio di dati utili per mettere in piedi una intelligence che sia veramente strumento, ora spezzettato tra paese e paese. Dall’altro cercare di cancellare l’opinione che esistano delle superiorità storiche e culturali dell’una o dell’altra parte. Il problema è estremamente aperto, in quanto è facile immaginare come sarebbe utile un lavoro unitario in una realtà in cui i vari paesi si muovono in modo scoordinato, ognuno attaccato alle sue caratteristiche nazionali.
Roberto lo incontrai per la prima volta qualche settimana fa ad una presentazione di un film al Circolo dei Lettori. Mi impressionò il discorso che fece in pubblico, così che gli chiesi il contatto per rivederlo. In particolare mi rimase in testa una parola: società liquida, gli chiedo così di riprendere questo concetto.
C’è una tendenza che si è affermata grazie a una definizione, che è stata accolta con molto favore, di società liquida dal filosofo Bauman: la società delle ideologie si è liquefatta e le idee possono navigare come i pesci nell’acqua, che si scambiano segnali che spesso non sono in grado di tradurre e spiegare. Il rischio è che tale liquido non sia potabile e salutare e che diventi tossico anziché una medicina.
Infine, come mio solito, gli chiedo cos’è il cambiamento per lui.
Per Roberto può essere di due tipi. Il primo è un cambiamento al quale l’umanità può contribuire alla sua realizzazione, sul quale pensa che valga il il principio della frammentazione o dell’apatia. In altra ipotesi il cambiamento avviene senza che gli uomini consapevolmente se ne accorgano.
Una questione che ritiene grave, quanto e per certi versi più grave della violenza bellica e dei suoi errori, è dato dal fatto che la natura non riesce più a fare il suo lavoro. I ghiacciai che si sciolgono, l’acqua che diventa una merce sempre più rara, l’incuria per il territorio e il paesaggio, la costruzione irrazionale di opere. E in definitiva la presunzione di sapere come salvare il mondo operando in modo contrario.
E’ convinto che il segno sulla carta, sulla tela, è un segno che può resistere al tempo e al consumo materiale: si tratta di tavole che aiutano a superare le burrasche, salvando il vissuto di ieri con il domani.
Che prenda il caffè con lo zucchero o senza cambia davvero poco. Tuttavia oggi l’averlo messo nero su bianco gli ha donato un valore diverso. Dopo le parole di Roberto, mi accorgo quanto sia importante lasciare per iscritto le proprie idee, i propri valori, ma non solo. Quel che accade di positivo e virtuoso nel paese è necessario documentarlo, raccontarlo, così che divenga esempio per qualcun altro, o semplicemente occasione di riflessione e critica. Solo così il giornalismo potrà divenire uno strumento di facilitazione per una trasformazione positiva della società.
Articolo riproducibile citando la fonte con link al testo originale pubblicato su Italia che Cambia