Fa caldo nella stiva di metallo spersa da qualche parte in mezzo al mare, i pochi boccaporti aperti non riescono a fare passare la brezza e l’aria è pesante, umida e rovente. Accalcati sotto coperta uomini, ma anche donne e qualche bambino, stanno affrontando questo viaggio carico di speranza per provare a vedere se, sull’altra riva, ci sarà quell’occasione che è stata loro negata in patria.
Hanno investito i risparmi, fatto lunghi viaggi via terra per arrivare ai porti da cui sono partiti, con addosso le poche cose che posseggono e in tasca gli ultimi soldi per cavarsela, una volta arrivati.
Pochi sanno leggere, e quasi nessuno ha qualcosa da leggere: il tempo passa parlando, raccontandosi le vite ma soprattutto le speranze, i sogni, dove andranno una volta sbarcati, se dall’altra parte, per i più fortunati, c’è qualcuno che li aspetta.
Ad un certo punto qualcuno inizia a cantare, il cuore allora si scalda e tanti si uniscono, intonano quel semplice motivo che ricorda casa, l’orizzonte nativo che hanno dovuto abbandonare, i familiari che li hanno visti partire trattenendo le lacrime: dopo pochi istanti tutti stanno cantando il loro inno, “Fratelli d’Italia”; tra poco si vedrà Ellis Island, poi il disprezzo di chi vede arrivare quei piccoli e scuri ometti tutti mafiosi e puzzolenti e pensa che non porteranno nulla di buono.
Era un secolo fa, ce lo siamo già dimenticato. Onore a mio nonno che era in quella stiva e non ha mai dato retta ai pregiudizi.
(ringrazio Paolo S., nipote e memoria del nonno nella stiva, scrittore delle righe che avete appena letto)
Arrivi a Torino, stanco per il viaggio con la speranza di un futuro migliore, trovi un cartello con scritto “non si affitta ai meridionali” perche’ sono sporchi, scopri che nella vecchia capitale sabauda i bagni sono sul ballatoio in comune e tu, a casa in sicilia, avevi un bagno tuo dentro casa.
I “napoli” sono tutti ignoranti, tu parli italiano e ti accorgi che qui tutti parlano solo in dialetto che tu cerchi di capire, intanto abbandoni il tuo dialetto per paura di essere emarginato.
Anno 1951 mio papa’ Samuele e mio nonno Calogero, di professione sarti. Mio nonno non l’ho mai conosciuto, ma so come ha educato mio papa’, persona semplice, mite e rispettosa diventato, dopo un viaggio in treno, un ignorante e sporco meridionale.
(ringrazio Samuele, il mio papà, e il suo amico Tunin, il nonno di Antonella mia moglie, piemontese da generazioni. Passavano lunghe ore insieme, sorridenti in silenzio…)
E… state in campa(g)na anzi Restiamo umani (cit. Vittorio Arrigoni)
Alberto
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