Posted by on 3 Marzo 2016

20140122_114319ridIncontrando vecchi amici e conoscenti, nasce normalmente la domanda: “che cosa fai adesso?”, “che lavoro fai?”. I miei figli e mia moglie mi chiedono spesso: “ma quando ci domandano che lavoro fai, cosa dobbiamo dire?”.

Per rispondere in parte a questi interrogativi, vi racconto una delle attività che sto cercando di realizzare: ridare vita ad una Certosa abbandonata, che in queste righe chiamerò “Certosa della Speranza”. O meglio vi racconto perché mi sto dedicando, con un gruppo di belle persone, a questa iniziativa.

Quando pensiamo ad una Certosa o ad un Monastero ci viene in mente un luogo appartato, ai margini della vita quotidiana, lontano dalla società. Le Certose e i Monasteri nel passato erano invece centri vitali e pulsanti che animavano tutto il territorio circostante; erano centri di accoglienza, cultura, motori di economia, scambi, sperimentazioni, innovazione e spiritualità.

Tre sono i punti da cui trarre indicazioni: il rapporto dei monaci con il territorio (il lavoro), con gli altri (l’economia e la socialità) e con se stessi (il senso della vita).

(..)Dal punto di vista economico e produttivo i monasteri erano strutture tendenzialmente autosufficienti. Le competenze professionali dei frati e dei loro coadiutori laici erano variegate e in grado non solo di assicurare la soddisfazione dei bisogni interni, ma anche di offrire beni e servizi a una popolazione esterna limitrofa, di soddisfare le necessità contingenti di alimentazione e ricovero di viandanti e pellegrini, di provvedere all’ospitalità e alla cura di alcuni tipi di malati che vi si recavano appositamente (ad esempio gli afflitti dal fuoco di sant’Antonio nell’Abbazia di Sant’Antonio di Ranverso, in Valsusa, lungo la via francigena). La base della loro autosufficienza economica e produttiva era costituita dall’agricoltura praticata nei terreni circostanti di loro proprietà, dalla trasformazione dei prodotti agricoli sia per uso alimentare sia per uso terapeutico (erboristeria), dalle attività artigianali connesse [1]

Il recupero funzionale della Certosa della “Speranza”, vuole rianimare questa struttura, abbandonata da oltre 20 anni, in modo che possa accogliere, prestando attenzione alle storie delle persone vulnerabili che la abiteranno e alla dimensione della quotidianità, dando forma ad una progettualità collettiva. Si tratta di considerazioni che l’attuale evoluzione delle città ha dimenticato, che vanno oltre le differenze sociali o culturali, perché interessano le persone nella loro essenza.

Ricreare la comunità, questo è l’obiettivo.

Comunità nel suo significato originale, che deriva dal latino cum, il complemento di compagnia, seguito da munus, dono, è quindi una parola che indica gruppi umani che sono legati dal dono delle cose e del tempo.

L’agricoltura, l’alimentazione, la cura del territorio, l’attenzione al paesaggio, l’arte, l’artigianato, riqualificheranno l’ambiente in cui vivrà la comunità e la porranno in un contesto che favorisca la creazione di uno stato di benessere fisico e psicologico che porti alla riconquista del presente, alla riscoperta del passato, e alla rinascita di una prospettiva per il futuro, con la volontà di veder affermati valori condivisi come: solidarietà, giustizia, rispetto, reciprocità e cooperazione.

La casa è fondamentale per la qualità di vita di tutti e lo è ancor di più per le persone che affrontano una particolare fragilità, che necessitano di accoglienza ma anche di un accompagnamento mirato.

Persone con disabilità, con esigenze alloggiative temporanee, con fragilità socio-abitative, con vincoli di reddito, anziani, troveranno nella Certosa della “Speranza” un luogo che, garantendo accessibilità economica, permetterà di abbandonare il clima di conflittualità, e il disagio abitativo e sociale, per lavorare invece sulla costruzione di un’alternativa, prima di tutto culturale e sociale attraverso la sperimentazione della reciprocità, nella pratica, mettendo in relazione stretta agio e disagio, attraverso la costruzione di relazioni con il territorio locale e di reti territoriali a livello regionale e non solo, tramite un grande lavoro di elaborazione culturale e spirituale, in senso ecumenico, interpretata in modo inclusivo.

Siamo tutti “tra terra e cielo”, riconosciamoci e prendiamo consapevolezza di ciò che ci circonda”.

Dall’inclusione sociale alla spiritualità: Il rapporto tra la campagna e la dimensione spirituale dell’esistenza era presente nel Genio Silvanus, signore delle foreste e dei campi, a cui erano dedicati i tempi pagani, e rappresentava il rapporto tra la campagna e la dimensione spirituale, non a caso, sopra uno di questi tempi pagani, venne costruita l’Abbazia dei Mille nella Vallingeno in provincia di Perugia. L’agricoltura che abbraccia la solidarietà, la biodiversità salvaguardata tramite la cucina, la cooperazione sociale che riscopre il valore della terra: riporta al simbolo che il Genius Silvanus rappresentava: l’unità. Dall’altra parte, ad esempio, riporta all’opera dei monaci cistercensi sul rinnovamento delle tecniche di coltivazione dei campi.

L’accoglienza, che sarà temporanea, sarà anche umiltà, solidarietà con chi c’era prima, con chi ha pulito, chi ripulirà e con chi arriverà dopo; sarà anche giustizia e rispetto tradotti in gesti come raccogliere una carta in terra, eliminare una foglia secca da un fiore, pulire e riordinare una stanza o un letto, svuotare un sacchetto pieno di immondizia, spegnere una luce dimenticata, sostituire un rotolo di carta igienica finito …

La Comunità sarà intesa come luogo di cura reciproca, cura dei luoghi e laboratorio vivo e concreto di valori, capaci di costruire speranza e profezia, una società di donne e uomini che si basa sulla comprensione, la cooperazione, la parità e la condivisione.

L’autodeterminazione dell’individuo al di fuori degli schemi sociali ed economici usuali, ci ha porta a lavorare per la creazione di una convivenza sociale, basata su pratiche come l’autoproduzione, il baratto, il mutuo aiuto e la riconquista del saper fare. Il tutto in una struttura che sarà indipendente energeticamente, per rendere sostenibili le attività, e non pesare sul bilancio della capacità di accoglienza, attraverso collettori solari termici, pannelli fotovoltaici, ma soprattutto con standard di coibentazione che rendano minimo il consumo degli impianti di riscaldamento e di raffrescamento, riducendo l’utilizzo di energia elettrica, e di acqua potabile per rendere minima l’impronta ecologica di tutta la comunità.

Recuperando il motto benedettino “ora et labora” nella sua interpretazione del lavora e dedica del tempo a contemplare quello che di bello hai realizzato. Preferendo la qualità alla quantità, il nuovo monastero sarà un luogo dove sperimentare:

(..)Un’economia che rispetti le persone, siano queste lavoratori o consumatori
Un’economia che rispetti l’ambiente e la biodiversità preservandoli per le generazioni future
Un’economia orizzontale che sostituisca quella verticale
Un’economia che “fa” con quello che ha localmente
Un’economia che non preveda lo scarto, il rifiuto
Un’economia resiliente
Un’economia quindi che riprenda i meccanismi della natura. [2]

(..)Riscoprendo l’importanza dell’autoproduzione per autoconsumo, dell’agricoltura tradizionale, dell’artigianato dei rapporti comunitari, dell’economia del dono, della sobrietà, del rispetto della Terra, della simbiosi che lega l’umanità alla fotosintesi clorofilliana attraverso il respiro, della bellezza, della contemplazione della spiritualità.[3]

Ripensando al passato, nel XXII secolo in Lombardia, i monaci della congregazione degli Umiliati assunsero un ruolo determinante nello sviluppo economico e produttivo di quel periodo.

(..)La capacità certosina di vivere apparentemente al minimo, in quella che dall’esterno viene percepita come un’esistenza ridotta alla semplicità più essenziale e al distacco più severo, risuona con forza sempre maggiore in un mondo prigioniero dei tanti idoli- dal successo al denaro, dal sesso al potere- che incombono sulle nostre vite. Comunque, nel corso dei dieci secoli che racchiudono la storia di questo ordine, sono stati in tanti a comprendere che il silenzio e l’esperienza delle certose, pur apparentemente così distaccati, costituiscono dei riferimenti essenziali, soprattutto nei momenti difficili. [4]

Quelli che oggi stiamo vivendo sono tempi difficili, soprattutto per i più fragili, per i quali dobbiamo impegnarci, tutti.

Ecco perché vogliamo ridare vita alla certosa abbandonata, ed ecco perché, quando mi chiedono che lavoro fai, non so rispondere, perché non lavoro, mi impegno con tutte le mie forze per riportare la speranza nel futuro, in una società in cui un’attività che non produce un reddito monetario non è considerata lavoro.

A presto e … state in campa(g)na!
Alberto

[1] cit. Maurizio Pallante, I Monasteri del Terzo Millennio, Lindau
[2] cit. http://blog.italiachecambia.org/guggini-di-campagna/2016/02/non-ci-si-salva-da-soli-leconomia-blu/
[3] cit. pag 74,Maurizio Pallante, Destra e sinistra addio: per un nuova declinazione dell’uguaglianza, Lindau
[4] cit. pag 230, Giorgio Boatti, Sulle Strade del Silenzio, Editori Laterza

Bibliografia:
George McRobie, Piccolo è Possibile, Edizioni Gruppo Abele, 1987
Giorgio Boatti, Sulle Strade del Silenzio, Editori Laterza, 2012
Maurizio Pallante, Destra e sinistra addio: per un nuova declinazione dell’uguaglianza, Lindau, 2016
Maurizio Pallante, I Monasteri del Terzo Millennio, Lindau, 2013
Dario Rei, Cultus Loci Cura Animi, Editore Diffusione Immagini, 2013
Maria Novo, Vivere slow, Edizioni Dedalo, 2011
Enzo Bianchi, Il pane di ieri, Einaudi, 2008
Paolo Legrenzi, Frugalità, Il Mulino, 2014
Sergio Ghirardi, Lettera aperta ai sopravvissuti. Dall’economia della catastrofe alla società del dono, Nautilus, 2007
Domenico Cravero, Alimentare il corpo, nutrire l’anima, Edizioni Messaggero, 2014
Domenico Cravero, Padri e madri insieme, Edizioni Dehoniane, 2014
Massimo Centini, Il sapere dei nostri vecchi, Priuli & Verlucca, 2011
Papa Francesco, Laudato Si’, Libreria Editrice Vaticana, 2015
Tiziana Bonora, Prendersi cura è un atto creativo, http://comune-info.net/2016/02/la-cura/

 

Comments

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    silvia
    4 Marzo 2016

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    bellissimo progetto Alberto ! condivido in pieno le tue speranze in una società più attenta ai bisogni reali e ai rapporti sociali , argomento su cui stò lavorando anch’io.

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    GIOVANNA
    18 Gennaio 2017

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    ciao Alberto, vorrei sapere di più del tuo progetto perchè mi piacerebbe con degli amici progettare una forma di convivenza solidale. come state procedendo? e dove si trova la certosa della speranza?

    • Avatar

      Alberto Guggino
      13 Marzo 2017

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      Ciao Giovanna, la Certosa della Speranza è a Riva di Pinerolo, il progetto non è ancora operativo, siamo ancora in una fase difficile…
      mi spiace di averti risposto con ritardo, se hai bisogno di maggiori dettagli scrivimi all’indirizzo associazione.ciochevale@gmail.com
      Alberto

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