Posted by on 11 Marzo 2015

potare ridIn questi giorni mi sto dedicando alla potatura del mio frutteto di piante antiche piemontesi. All’aperto, solo con me stesso, rifletto.

La prima sensazione mentre taglio i rami è di paura.

Paura perché potare è un’operazione irreversibile, se sbaglio non posso tornare indietro; in una cultura in cui si è abituati a non prendersi responsabilità, tagliare diventa una grossa responsabilità nei confronti di una pianta, che ci donerà i frutti che apprezzeremo sulla nostra tavola ma che sarà condizionata dal nostro agire.

La seconda riflessione è sull’ascolto. 

Ho ascoltato attentamente gli amici esperti (Luigi e Silvano) che in questi anni hanno cercato di formarmi all’arte della potatura? Ho capito veramente le pagine del libro che ho letto per prepararmi? Sono capace di “ascoltare” la pianta che ho davanti? Sono capace di interpretare i suoi bisogni?

La successiva emozione è legata al vedere.

Guardo le piante per capire come devo intervenire (ma devo proprio intervenire?), guardo ma non sono sicuro di vedere; osservo, esamino, fisso, scruto, tutti sinonimi che dentro di me assumono i diversi significati che si trasformano in contemplazione di ciò che ho davanti. A questo punto la parola “guardare” prende un altro significato, quello di quando dicevo ai miei genitori se per favore potevano “guardare i miei bambini” e allora diviene “prendersi cura”, “proteggere”, “custodire” e di nuovo ripenso: ma io sono adeguato?

Quindi  “guardare” diventa “guardare in faccia”, “affrontare” e non sfuggire come l’istinto mi porterebbe a fare, delegando ad altri l’operazione di potatura.

La nuova sensazione che mi pervade è di rispetto.

Risalgo all’etimologia della parola rispetto e trovo che  deriva dal latino respectus, “guardare indietro” che mi porta a un sentimento di ritrovata consapevolezza dei meriti di questa natura e la parola si trasforma in considerazione, riguardo, riverenza e via via nei diversi significati fino ad arrivare a “devozione”.

Allora capisco il mio “blocco” all’azione di potare, la mia paura mi rallenta per  donare istanti di devozione e contemplazione a queste piante che non sono al mio servizio per fornirmi i cibo ma sono parte di me e della mia vita.

Mi accorgo che devo trasmettere il significato di potare dal latino putare  cioè “esser o render netto” da cui re-putazione. Allora il ciclo si chiude perché l’etimologia della parola passa per associazione di pensiero al significato metaforico di volger d’animo, pensare, considerare, riflettere. 

E quindi scopro che è giusto potare e riflettere.

E…State in Campag(n)a

Alberto

 

Comments

  1. Avatar

    Verena Mauri
    15 Settembre 2015

    Leave a Reply

    Lavorare la terra o meglio meditare la terra ,un lavoro di purificazione trasformazione per identificarmi nel frutto che non mi appartiene anche se me ne posso nutrire posso far crescere la mia gratitudine insieme a ciò che ho curato e seminato affidando all’ accoglienza degli elementi .Potatura è ciò che ho appreso osservando mio padre che ha appreso dal nonno per il resto dopo l’osservazione della pianta che ho davanti diventa anche istinto …..

  2. Avatar

    guggini-di-campagna
    20 Settembre 2015

    Leave a Reply

    “istinto” che sto sto cercando faticosamente di recuperare…

Leave a Reply to Verena Mauri Cancel reply


You may use these HTML tags and attributes: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>

*